Hollywood descrive sempre più la maternità non come un’esperienza felice, ma come una potenziale discesa nel disagio psicologico e nella perdita di identità. Film recenti come Nightbitch, If I Had Legs I’d Kick You e Die My Love fanno parte di una tendenza crescente di thriller postpartum che offrono una rappresentazione assolutamente onesta, e spesso inquietante, delle sfide che devono affrontare le madri moderne. Questi film vanno oltre le rappresentazioni romantiche per esplorare i sentimenti di isolamento, frustrazione e perdita di sé che possono accompagnare la genitorialità, soprattutto in un contesto sociale che spesso manca di un sostegno adeguato.
L’ascesa dei thriller postpartum
Die My Love, con Jennifer Lawrence, è l’ultimo film ad unirsi a questa ondata. La performance di Lawrence nei panni di Grace, una neo-mamma alle prese con la depressione postpartum, ha raccolto elogi diffusi e susciterà sicuramente ulteriori conversazioni. Il film segue Grace e il suo partner, Jackson (Robert Pattinson), mentre si trasferiscono nella remota città natale di Jackson, dove lui lavorerà e lei si prenderà cura del loro figlio appena nato. Mentre Jackson diventa sempre più distante, Grace inizia a sgretolarsi, sentendosi intrappolata e perdendo il senso di sé entro i confini del suo nuovo ruolo.
La tendenza ha preso slancio in precedenza con Nightbitch del 2023, in cui Amy Adams interpreta una madre che si trasforma letteralmente in un cane selvatico come meccanismo per far fronte agli opprimenti doveri genitoriali, e If I Had Legs I’d Kick You, una rappresentazione straziante di una terapista di Long Island che lotta per prendersi cura di sua figlia mentre combatte l’isolamento e il crollo mentale. Questi film condividono un tema comune: la maternità come forza che può strappare l’identità di una donna e farla sentire perduta e disperata.
Una riflessione sociale
L’emergere di questi film coincide con una più ampia presa di coscienza sociale riguardo alle sfide che devono affrontare i genitori, in particolare le madri. Il ribaltamento del caso Roe v. Wade nel giugno 2022 ha provocato un’ondata di film di “body horror in gravidanza” che esploravano i temi della gravidanza forzata e della perdita di controllo sul proprio corpo. Tuttavia, il vero orrore per molte madri va oltre la gravidanza e il parto. L’accesso all’aborto sta diminuendo in tutto il Paese, le donne stanno lasciando la forza lavoro in numero record a causa degli alti costi dell’assistenza all’infanzia e dei mandati di rientro in ufficio, e persino le proposte per incoraggiare il parto sono accompagnate da politiche che tagliano il sostegno vitale alle famiglie che lavorano.
L’onere sproporzionato imposto alle madri in questo ambiente non è passato inosservato. Le cineaste utilizzano sempre più le loro piattaforme per affrontare queste realtà, andando oltre le rappresentazioni idealizzate della maternità per mostrare le emozioni crude e il costo psicologico che può comportare.
Più che semplice nichilismo: esplorare lo spettro della maternità
Questi film non sostengono necessariamente una visione desolante della genitorialità. Invece, riflettono una verità: la maternità è complessa. Come ogni essere umano, le madri hanno bisogno di connessione, stimolazione e azione. Quando questi bisogni non vengono soddisfatti, le conseguenze possono essere profonde.
Nightbitch offre in definitiva un percorso verso il recupero della propria identità, con la protagonista che trova la libertà abbracciando il suo sé poliedrico. Se avessi le gambe ti prenderei a calci presenta una risoluzione meno ottimistica, riflettendo la realtà spesso difficile di affrontare la genitorialità sotto un’enorme pressione. Die My Love cattura la frustrazione viscerale e la disperazione di una donna che lotta per mantenere la sanità mentale entro i confini della maternità, con momenti di umorismo oscuro che sottolineano le emozioni travolgenti.
Una scena particolarmente suggestiva di Die My Love, in cui Grace spacca i prodotti da bagno e trascina le unghie sul muro, illustra in modo potente le emozioni represse che possono derivare da bisogni insoddisfatti. La scena risuona perché cattura l’impulso primordiale di rilasciare la pressione opprimente della frustrazione repressa, un sentimento con cui molti genitori possono identificarsi.
Sebbene i film possano descrivere una gamma di esperienze stimolanti, servono a ricordare in modo cruciale che la maternità non è solo una questione di gioia. Offrono invece una rappresentazione complessa e ricca di sfumature di un’esperienza umana fondamentale, che richiede riconoscimento, sostegno e volontà di affrontare i suoi aspetti più oscuri.
In definitiva, questi thriller postpartum sono molto più che semplice intrattenimento; sono uno specchio culturale che riflette le ansie e le lotte della maternità moderna e un appello a una società che supporti meglio le donne che ne sopportano il peso.
